Queste sono le parole di Alessia Avanzini, una giovane ex volontaria che dal 4 al 7 dicembre sarà a Roma all’evento annuale SVE.
In attesa del grande evento celebrativo dei 20 anni di volontariato europeo pubblichiamo la sua storia (e a seguire nei prossimi giorni tante altre) per capire ancora più da vicino il valore aggiunto di un’esperienza come il Servizio Volontario Europeo.
Vi aspettiamo quindi il 7 dicembre a Roma per scoprire altre storie, altri percorsi, altre strade, e siamo certi che subito dopo avrete anche voi a valigia in mano pronti a partire alla scoperta dell’Europa e di voi stessi!
Buona lettura!
Io sono Alessia Avanzini, vengo da un piccolo paese della provincia di Cremona. Ho deciso di intraprendere questa esperienza in Germania, ed un posto (pensavo) valeva come un altro. Fui selezionata per un progetto a Rhauderfehn, piccolo paese della campagna a nord ovest della Germania, in centro giovanile del paese e liceo. Il progetto è durato 11 mesi, dal 1 settembre 2015 a fine luglio 2016. Durante questi mesi, sommata la pioggia di ogni giorno, la luce che veniva a mancare già alle 15.30 di pomeriggio, la freddezza e diffidenza dei giovani di quel paese, ho tastato con mano cosa vuol dire la solitudine. Io ed una delle mie due coinquiline ci siamo fatte forza fino alla fine, nonostante la voglia di lasciare il progetto già ad ottobre.Durante quei mesi ho imparato prima di tutto ad essere autonoma, sia nel lavoro che nella vita, a cavarmela e non lasciarmi andare alla tristezza. Ho avuto modo di lavorare anche con i rifugiati, con bellissime sorprese da parte di alcuni che posso considerare miei amici, ancora oggi, ma con qualche problema dovuto a diversi background con altri. Ho scoperto che ci sono delle difficoltà ad approcciarsi con persone di diversa cultura, non intendo solo persone provenienti da Siria, Afghanistan o Iran, ma proprio anche europei. Anzi, ho stretto amicizie che dureranno una vita con persone che vengono da ambienti totalmente diversi dal mio, guerre, cari estinti per atti di terrorismo, ed ogni volta che in Italia mi viene citata qualche ideologia contro immigrazione, non posso stare zitta. Ho toccato con mano e percepito la sofferenza di persone che hanno camminato per migliaia di chilometri, per sfuggire ad una morte certa. Durante il progetto organizzavamo settimanalmente incontri al centro giovanile per rifugiati, aperto anche alla popolazione locale che però tendeva a mancare.Prima di partire avevo un quasi senso di disprezzo nei confronti dell’Italia, cambiato radicalmente entro la fine degli 11 mesi. Quando si è distanti da casa la si riesce a vedere sotto un’altra ottica, e così è stato.A livello professionale ho imparato ad adeguarmi a quello che è necessario fare. Non son state sfruttate appieno le mie abilità, ma si faceva quello di cui avevano bisogno. Ho lavorato nel liceo come insegnante di corsi extra, creatività, italiano e cucina, mentre nel centro giovanile abbiamo provato ad organizzare eventi per i giovani ottenendo scarsa partecipazione.Sicuramente in un mondo del lavoro tra le richieste prima di tutto spicca la lingua, essendo stata costretta sin da subito a parlare tedesco, ho dovuto migliorare la mia conoscenza, stesso vale per l’inglese.Ma quello che mi è successo è stato di aprire gli occhi, vedere ed ascoltare storie diverse, anche durante i seminari, purtroppo troppo pochi, ma con forte impatto. Oltre all’esperienza quotidiana, appunto, durante i seminari abbiamo trattato i temi di resistenza al nazismo, andando a visitare a Colonia le poche testimonianze di chi all’epoca aveva provato a resistere al nazionalsocialismo, e tema rifugiati, con testimonianze di persone scappate, video di chi ha organizzato i soccorsi in Grecia. Con sorpresa ed amarezza ho notato che nulla di quello visto durante i seminari è reso noto dai media. Lo sve mi ha dato consapevolezza, non tornerei mai indietro.
Alessia Avanzini
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